E’ un uomo, ha circa 50 anni, una laurea economica e una retribuzione annua che nel tempo può superare i 100.000 euro.
E’ il profilo del Risk Manager, figura professionale che negli ultimi anni ha subito una profonda evoluzione, in linea con la crescente sensibilizzazione al rischio che le aziende italiane stanno maturando.
E’ quanto emerge dal primo “Osservatorio sul ruolo del Gestore dei Rischi Aziendali in Italia”, promosso da ANRA e Risk Governance-Politecnico di Milano (settembre 2014).
All’indagine hanno partecipato 283 aziende, il 55% delle quali con un fatturato superiore ai 200 milioni e con oltre 1.000 dipendenti (62% dei casi). La maggior parte del campione delle imprese è riconducibile al settore industriale (27%), a cui fanno seguito il comparto finanziario, banche e assicurazioni (17%), sanitario (12%), energia (10%), servizi non finanziari (10%) e ICT/Telecomunicazioni (8%).
Chi in azienda assume la gestione del rischio (e nel 52% dei casi è inquadrato come Dirigente) è identificato nel 40% dei casi come “Chief Risk Officer”, mentre sono minori i casi nei quali il risk management è affidato al CFO (8% dei casi), al CEO (7%) o all’Insurance Manager (4%). Nel 38% dei casi il riferimento gerarchico del Gestore del rischio è il CEO/Direttore generale, seguito dal CFO (24%) e dal CdA (19%).
L’indagine ha inoltre evidenziato come ben il 16% delle imprese non si curi di gestire i rischi in modo sistematico. Eppure proprio la crisi recente ha messo maggiormente in luce i limiti dei sistemi adottati dalle aziende nell’affrontare un contesto sempre più dinamico, complesso e globalizzato, come sottolineato da Paolo Rubini, presidente dell’ANRA (Associazione Nazionale Risk Manager) durante il XV Convegno Annuale dedicato al Risk Management. Ripensare al proprio approccio alla gestione dei rischi consente alle aziende, a prescindere dalle dimensioni o dal settore, di tutelare il proprio business ed essere maggiormente competitivi sul mercato.
Ad oggi la mappatura e la prioritizzazione dei rischi avviene per il 64% a livello corporate, scelta che indica l’importanza strategica che viene attribuita al rischio, meno frequentemente a livello Paese o Unit.
Il processo di risk analysis viene ripetuto nel 45% dei casi con cadenza annuale, per il 13% con cadenza semestrale e per il 15% trimestrale. Il 27% delle aziende non effettua invece tale analisi con regolarità.
Per quanto riguarda l’incremento delle risorse aziendali dedicate alla gestione dei rischi, l’indagine ha evidenziato come solo il 28% delle imprese intervistate sia intenzionato a aumentare le risorse dedicate nel medio-lungo periodo, mentre nel 66% dei casi rimarranno invariate.
Ottobre 2014