L’European Risk Management Report 2020 descrive gli ambiti sui quali si stavano concentrando pre-Covid i professionisti del rischio d’impresa. Rischi informatici e incertezza economica sono in cima alle preoccupazioni delle aziende.
L’ultima edizione dell’European Risk Manager Report offre un quadro dei rischi d’impresa e del mestiere della gestione del rischio, dipinto appena prima della crisi pandemica. L’indagine è stata condotta sui risk manager delle associazioni aderenti a FERMA tra gennaio e metà marzo del 2020. La ricerca è utile per capire come la percezione del rischio stesse seguendo gli stessi trend dell’anno precedente, con cyber risk e incertezza economica in testa, prima che il mondo fosse travolto dalla pandemia di Covid-19.
I maggiori rischi d’impresa pre e post Covid
Se prima della pandemia di Covid-19, le minacce con il maggior impatto potenziale nei dodici mesi successivi erano i rischi informatici e le incertezze sulla crescita economica, la preoccupazione per un’iper-regolamentazione nel 2019 scendeva dalla quarta alla quinta posizione, mentre in terza e quarta si posizionano rispettivamente la disponibilità di talenti chiave e il furto o frode di dati. I rischi cyber erano la preoccupazione principale per tutti i settori d’attività, mentre l’incertezza sulla crescita economica era evidenziata soprattutto dagli operanti nelle industry e nei servizi.
Allargando la prospettiva a medio e a lungo termine, tra i tre e dieci anni successivi, i temi chiave per i risk manager europei pre Covid19 erano la trasformazione digitale, tesa tra le opportunità dei cambiamenti tecnologici e rischi informatici, e la sostenibilità, che pone l’attenzione su danni ambientali, cambiamenti climatici ed eventi meteorologici estremi. La complessità e trasversalità di questi temi hanno spinto l’Enterprise Risk Management (ERM) a diversificare le mappature dei rischi, sempre più guidate dalla ricerca di resilienza e meno dal principio di compliance. Nell’ultimo biennio l’approccio alla mappatura dei rischi, inoltre, è diventata sempre meno top-down, con una conduzione a livello corporate e per specifiche business unit.
Guardando al post Covid, il panorama dei rischi varia solo in parte: i due terzi delle interviste condotte a livello globale su un campione di manager dal World Economic Forum (WEF) ha indicato una “prolungata recessione globale” come una delle principali preoccupazioni per l’economia (66,3%), seguita dalla possibile ondata di fallimenti industriali e di nuovi necessari consolidamenti (52,7%). Già al terzo posto troviamo i cyberattacchi e le frodi digitali (50,1%); al quarto la mancata ripresa di interi settori industriali (50,1%); al quinto il crollo continuato della domanda mondiale (48,4%); al sesto le restrizioni transfrontaliere di persone e merci (42,9%); al settimo l’esplodere di una nuova pandemia (35,4%); all’ottavo il collasso dei mercati emergenti e delle economie in via di sviluppo (34,6%); al nono l’indebolimento dei bilanci pubblici delle maggiori economie (33,4%). Al decimo posto, un’impennata dell’inflazione globale (32,6%).
Digitalizzazione: analisi e prevenzione dei rischi
Tornando alla ricerca condotta specificamente sui risk manager, vediamo gli impatti della trasformazione digitale sulla gestione dei rischi aziendali. Il 67% dei risk manager europei utilizza almeno una di queste quattro tecnologie: analisi dati, data visualisation (l’esplorazione visuale/interattiva e la relativa rappresentazione grafica di dati), process automation e intelligenza artificiale. I nuovi strumenti permettono di trattare grandi quantità di dati, di analizzare e ricavare informazioni, per meglio comprendere l’interconnessione dei rischi e prevedere eventi futuri. Tali tecnologie sono sfruttate soprattutto dai professionisti del settore dei servizi finanziari, dove la percentuale arriva al 79%. Un significativo 34% non ne ha adottata nemmeno una e soltanto 3 su 100 le utilizzano tutte e quattro. Nella maggior parte dei casi si tratta di tool local based, applicati soprattutto nell’ambito del risk reporting e della mappatura. Delle possibili previsioni globali si sviluppano invece lentamente, ostacolate dagli ingenti investimenti richiesti e dalla scarsa percezione del valore aggiunto da parte della funzione di gestione dei rischi.
Sostenibilità: asset sempre più strategico
Un tema in crescita è quello della sostenibilità, nonostante sia visto ancora come una questione legata alla compliance e non alla gestione del rischio. Quaranta professionisti su cento ricoprono già, o hanno in programma di farlo nel prossimo futuro, un ruolo nelle politiche ESG della propria organizzazione. Gli unici ostacoli da superare sono la difficoltà nella quantificazione dei rischi di sostenibilità (per l’81% degli intervistati), di una conoscenza limitata in materia (70%), di mancanza di risvolti d’opportunità (55%), di una limitata collaborazione tra specialisti ESG e ERM (51%) o di scarso supporto da parte del board o del top management (43%). Gli ultimi due fattori citati potrebbero indicare come molte aziende considerino ancora i temi ESG prevalentemente come un requisito di compliance, perdendo l’opportunità di coinvolgere i risk manager nella loro gestione.
Mercato assicurativo
Già prima della crisi pandemica il mercato i premi assicurativi stavano aumentando a fronte di una riduzione delle coperture e i risk manager temono l’aggiunta di ulteriori limitazioni nelle polizze, soprattutto nel ramo property e casualty. Esclusioni di polizza (90%) e cambiamenti nelle condizioni del mercato assicurativo (88%) sono infatti indicati come i due fattori che preoccupano maggiormente i risk manager. In tale contesto, i gestori del rischio prevedono di modificare il proprio modus operandi in due direzioni: rafforzando l’attività di loss prevention (nel 60% dei casi) e negoziando accordi di lungo termine con i propri assicuratori (53%). Nonostante ritenzione e forme di trasferimento alternative rimangano le opzioni più diffuse per sopperire alla mancanza di capacità del mercato assicurativo in relazione a specifici rischi, va segnalato che l’uso delle captive ha registrato nell’ultimo biennio l’incremento maggiore di sempre, con un +15% che porta nel complesso ad un 43% di risk manager che le considerano tra le soluzioni più plausibili. Risulta sempre più importante il potere contrattuale dei broker assicurativi nell’ottenere condizioni di polizza favorevoli, accompagnate da servizi di consulenza che permettono di ottimizzare la gestione dei rischi d’impresa.
I risk manager: il campione della ricerca
Il report raccoglie le risposte di 764 professionisti della gestione del rischio associati a FERMA in 34 Paesi, di cui l’11% italiani, 21% francesi, il 7% tedeschi e il 4% britannici. Il 54% dei risk manager intervistati lavora in ambito industriale, il 29% (quasi un terzo) nei servizi finanziari, il 4% nel settore pubblico e il 13% nei servizi non finanziari. Sono le grandi imprese, ugualmente suddivise tra quotate e non, ad avvalersi in misura maggiore di chi si occupa di gestione dei rischi (80%). La proporzione tra i generi è rimasta quella della precedente analisi, con la prevalenza di professionisti uomini (68%) sulle donne (32%). Tuttavia, un segnale di cambiamento arriva dalle giovani generazioni: la rappresentanza femminile è del 52% negli under 30, del 42% nella fascia 31-35 anni, e diminuisce proporzionalmente con l’avanzare dell’età. Il Risk Management resta un ruolo che richiede esperienza, dal momento che nel 64% dei casi è svolto da chi ha tra 36 e 60 anni; l’età media si è comunque leggermente abbassata rispetto alla rilevazione del 2018.
Per quanto riguarda la formazione dei professionisti della gestione del rischio, due terzi dei risk manager intervistati provengono da un percorso di formazione specifico, di tipo universitario o Master nel 67% dei casi, corso professionale per il 50% degli intervistati, mentre un 20% ha entrambi i titoli. Il 44% possiede una certificazione professionale in Risk Management o sono in procinto di conseguirla. La certificazione aumenta il riconoscimento all’interno della propria organizzazione e la credibilità agli occhi degli stakeholder (79%), facilita lo sviluppo delle competenze (77%), offre maggiori opportunità professionali, di impiego (58%) e una retribuzione annua più alta di 3-6 punti percentuali.
Indagando gli ambiti di attività si riscontra un sostanziale equilibrio tra le attività operative e strategiche riconducibili alla responsabilità dei risk manager. Chi si occupa di gestire i rischi aziendali sviluppa soprattutto le mappe dei rischi, promuove una risk culture aziendale e implementa un framework ERM. Sorprende come solo il 43% dei professionisti partecipa alla gestione delle crisi e alla pianificazione della business continuity: a fronte delle emergenze degli ultimi mesi in futuro si dovrà lavorare sulla prevenzione, definizione e implementazione di un piano di continuità operativa e di crisis management. Il risk manager è sempre più importante nella definizione della risk culture, della strategia e del risk appetite, mentre è leggermente diminuito il suo peso nelle attività di allineamento e integrazione del risk management nella strategia di business, di cui è responsabile il 67% dei rispondenti a fronte del 75% del 2018. Infine, tra le funzioni riconducibili agli insurance manager, la variazione maggiore è l’aumentato coinvolgimento (dal 32% al 40%) nella definizione della compliance aziendale.
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